“Ti ricordi di Luigi Santin?” mi chiede. “Quello che usciva dall’ufficio per bere un caffè e vi ritornava succhiando sempre una mentina?”

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Valter Fontanella

 

La mentina



Come è usuale da qualche tempo, e anche scontato, vista la frequenza con cui accade, mi sono svegliato in piena notte. Non ho nemmeno controllato l’ora sull’orologio, non ne valeva la pena. Ho cominciato invece a chiedermi perché, dal momento stesso in cui mi sono svegliato, la parola mentina ha continuato a ronzarmi in testa.
Dopo un poco, infastidito da questa insistenza, mi sono messo a cercare l’origine di questo ritornello. In un primo momento ho ricordato che la sera prima a teatro, mentre assistevo alla rappresentazione di una commedia del Goldoni, a un certo momento sono stato costretto a tossire. “Gola secca” ho mormorato con voce arrochita nell’orecchio di mia moglie.
Dopo un secondo paio di colpi di tosse a stento soffocati, lei mi ha subito allungato una caramella alla menta, che doveva scongiurare sul nascere un successivo, incontenibile e peggiore accesso di tosse.
Il rimedio ha funzionato e non sono stato costretto ad abbandonare a precipizio il mio posto, evitando così di arrecare disturbo ai vicini.
Ecco, ho pensato, ecco la ragione per cui stanotte mi sono svegliato con la parola mentina in testa. Tosse e mentina, mentina e tosse si spiegano e si integrano perfettamente, senza ombra di dubbio. A questo punto i miei pensieri hanno operato un piccolo spostamento e sono scivolati ad altro.
Eppure, mi sono trovato a pensare, quel mio collega di ufficio, che ho visto succhiare mentine per tanti anni, non soffriva che assai raramente di accessi di tosse, e magari gli accadeva soltanto in pieno inverno, la stagione dei raffreddori.
E allora, perché mai era sempre là a succhiare mentine in ogni stagione dell’anno? E cominciava a farlo prima ancora di mettere piede in ufficio, come avevo personalmente constatato ogni volta che lo avevo incontrato per strada o al portone d’ingresso, prima di iniziare la giornata lavorativa.
E anche più tardi era là a succhiare una mentina, e quello che trovavo ancora più strano era che lo faceva perfino quando rientrava in ufficio, dopo esserne uscito per andare in un bar vicino a bere il veloce caffè concesso dal breve intervallo di metà mattina.
A me ogni volta faceva un effetto strano sapere che il collega era uscito dall’ufficio per bere un caffè e subito dopo rientrava succhiando una mentina ed esalando un forte odore di menta, che evidentemente copriva quello del caffè.
E lo faceva anche nella pausa del pomeriggio. Uscita per caffè, ritorno con mentina.
Per me era un fatto abbastanza incomprensibile, visto che consideravo il gusto del caffè e quello della mentina, e ancora li considero, assolutamente inconciliabili.
Con un caffè? Una bella tavoletta di cioccolato, piuttosto, magari fondente. Ma tant’è, i gusti sono gusti, non mancavo di ripetermi, e la faccenda finiva così.
Ma forse la faccenda non era così innocua, forse talvolta era perfino un poco fastidiosa per quel risucchio involontario accompagnato da un leggero rumore che ogni tanto scappava di bocca al collega e che, con il passare degli anni, era divenuto sempre più evidente e sonoro.
Ecco, questo era un qualcosa che contrastava decisamente con il suo modo di essere e di presentarsi, era infatti sempre inappuntabile e abitualmente vestito con una certa eleganza.
I suoi stessi modi con le persone dimostravano una lunga educazione, quella che si apprende da bambini e che diventa un abito mentale difficile da smettere.
Una delle ipotesi che all’epoca avevo avanzato per quel succhiare continuamente mentine, e una di quelle che mi sembravano più accreditate, era che il collega, prima di venire a lavorare nel nostro ufficio, fosse stato un accanito fumatore, che avesse cessato da poco di esserlo e che in un primo momento avesse fatto ricorso alle mentine, ovviamente come surrogato delle sigarette che si negava, e che l’abitudine della mentina si fosse prolungata indefinitamente nel tempo.
E anche se in altri momenti mi era capitato di pensare che forse quello era soltanto un modo per mascherare un alito particolarmente pesante, non avevo mai sollevato il problema con qualcuno dei colleghi, e non avevo mai interpellato nessuno al riguardo.
Prima di tutto perché non volevo passare per un impiccione, e poi perché ero certo che pure i miei colleghi sapevano su quella strana abitudine tanto quanto ne sapevo io, visto che lavoravamo tutti insieme in quell’ufficio dal momento in cui era stato istituito, e che perciò discuterne con loro non avrebbe sicuramente portato nessun chiarimento.
Questa mattina, visto che le belle giornate si susseguono, sono uscito abbastanza presto di casa, per evitare le ore più calde della giornata, con l’intenzione di fare una bella passeggiata, un poco più lunga di quella abituale, quella che mi fa imboccare e percorrere per intero Piazza Ferretto, superare la Torre dell’Orologio e arrivare fino al Municipio, il punto estremo da cui di solito imbocco la via del ritorno. Giunto dunque all’altezza del Municipio, ho deciso di proseguire ancora un poco verso Carpenedo.
Mentre sto percorrendo Viale Garibaldi, avvolto nel profumo intenso dei tigli in fiore, vedo venire dalla direzione opposta un vecchio collega d’ufficio, lui pure in pensione da qualche tempo. Dopo aver scambiato i convenevoli abituali di chi si incontra a un certo tempo di distanza, cominciamo con le informazioni varie sui colleghi, soprattutto su quelli che non vediamo da qualche tempo.
“A proposito – fa lui a un certo momento –, sai chi è ricoverato in ospedale, per una cirrosi epatica, e in condizioni molto critiche?”
Sto zitto e aspetto che prosegua con la sua informazione.
“Ti ricordi di Luigi Santin?” mi chiede. “Quello che usciva dall’ufficio per bere un caffè e vi ritornava succhiando sempre una mentina?” chiedo a mia volta.
“Luigi Santin beveva caffè? Mai saputo né sospettato” mi risponde implicitamente l’ex collega con una certa meraviglia nella voce.
Io comincio a guardarlo strano.
“Ma sì - gli dico con decisione -, per anni siamo stati colleghi e dopo ogni uscita per il caffè l’ho sempre visto rientrare in ufficio con una caramella alla menta in bocca.”
“Ma stiamo parlando della stessa persona? Guarda che ti sbagli, sai. So per certo che Luigi non beveva quasi mai caffè.”
“Ma allora, cosa andava a fare al bar? Andava a bere un caffè, come ho sempre pensato, oppure andava a comperare le caramelle alla menta?” chiedo con una certa ironia.
“Oh sì, Luigi andava a bere, ma non certo un caffè, un bicchierino di liquore, o anche due piuttosto. Brandy, grappa e altro ancora, roba forte comunque, mandava giù, e la caramella alla menta gli serviva per mascherare l’odore del liquore. E’ andato avanti così quasi per una vita intera, visto che era ancora giovanissimo quando aveva preso l’abitudine di bere liquori a ogni ora del giorno.”